Signore, non ho nessuno

Foto di USGS su Unsplash
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5 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 5,1-18

In quel tempo 1ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 2A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, 3sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. [ 4] 5Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. 6Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». 7Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». 8Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». 9aE all'istante quell'uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.

9bQuel giorno però era un sabato. 10Dissero dunque i Giudei all'uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». 11Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: «Prendi la tua barella e cammina»». 12Gli domandarono allora: «Chi è l'uomo che ti ha detto: «Prendi e cammina»?». 13Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. 14Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». 15Quell'uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. 16Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.  17Ma Gesù disse loro: «Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco». 18Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.


A cosa leghiamo la nostra fede: ai prodigi o a colui che è capace di compierli? Questa è la domanda che ci lascia il brano del vangelo di oggi. Siamo al capitolo 5 di Giovanni, tra i tanti elementi che raccordano i primi capitoli di questo vangelo c’è quello dell’acqua. Acqua che segna una conversione nel battesimo di Giovanni all’inizio del vangelo, l’acqua che si trasforma nel vino della gioia alle nozze di Cana, l’acqua del pozzo attorno al quale Gesù e la donna Samaritana discutono dell'acqua viva”. 

Nel testo di oggi l’acqua è un segno di guarigione. C’è una piscina presso la porta delle pecore a Gerusalemme attorniata da persone malate che vedono nell’increspatura dell’acqua una possibile guarigione.

Gesù sale a Gerusalemme per una festa e si reca a questa piscina. Giovanni ci dice che l’uomo paralitico è così da trentotto anni. Gesù, che si avvicina a lui, molto probabilmente non era ancora nato e quest’uomo già era paralitico. Gesù lo vede e chiede di lui, qualcuno lo informa che è in questa condizione da tanto tempo. 

Gesù gli pone una domanda diretta: “Vuoi guarire?”, l’uomo non gli risponde “si”, ma controbatte ponendo tra lui e la guarigione la sua solitudine. Gli risponde che non c’è nessuno che lo porti all’acqua nel momento in cui questa si increspa. Arriva troppo tardi, qualcuno è sempre più veloce di lui. 

Nella sua difficoltà si sente solo, nessuno gli è vicino per aiutarlo: ma non è così. L’uomo che è accanto a lui e che gli sta parlando non si propone di aiutarlo ad arrivare all’acqua, ma parlando lo guarisce. Sono le sue parole a guarirlo. Anche se si sente solo, in verità proprio in quella solitudine, il Signore è con lui. 

Nei testi che vengono affiancati negli altri tre vangeli a questo di Giovanni, l’avvenimento non è alla piscina, ma in una casa. Ci sono delle persone che non potendo raggiungere Gesù, scoperchiano il tetto calano l’uomo con il suo lettino. Questo gesto commuove Gesù e anche in questo caso con le sue parole opera la guarigione.

Giovanni lascia invece quest’uomo solo al fianco della piscina, vuole ricordare al lettore che anche nella solitudine senza speranza il Signore arriva con una domanda: “Vuoi guarire?”.

Possiamo solo immaginare lo stupore dell’uomo che dopo trentotto anni su un lettino si vede capace di camminare. Che scoperta sapere che si è ancora capaci di vivere nonostante il lungo dolore. 

L’uomo resta nel tempio, molto probabilmente non ha un altro posto dove andare, e gira con il suo lettino. Le persone che lo vedono al tempio hanno una strana reazione: invece di rallegrarsi per la sua guarigione - dovevano essere abituati a vederlo al fianco della piscina, dovevano essere molti anni che era lì - lo rimproverano perchè sta facendo un lavoro di sabato. 

Quante volte la compassione ci sfugge in nome della legge da rispettare. Quante condanne ci attraversano i pensieri rendendoci incapaci di una gioia da condividere.

Anche l’uomo guarito ha una reazione che può stupirci: dopo trentotto anni può camminare e non conosce l’uomo che gli ha cambiato la vita. Anche se il suo corpo è guarito, c’è ancora un cammino da fare, stavolta non con le sue gambe rinforzate, ma con il suo cuore.

Quando incontra nuovamente Gesù al tempio, questi gli ricorda “non peccare più”. Sono le stesse parole che nel capitolo 8 di questo stesso vangelo Gesù rivolgerà alla donna accusata pubblicamente. 

Ora tocca all’uomo guarito convertirsi, trovare nuove strade nella sua vita, ora le può percorrere con le sue gambe, perché ha scoperto che la salvezza non era nell'acqua, ma in colui che rende salvifica quell'acqua: il Signore. Il Signore ci raggiunge nelle nostre solitudini e ci invita a camminare, a riprendere ogni volta il cammino verso di lui.

fratel Elia