Seminare
17 giugno 2025
Dal Vangelo secondo Luca - Lc 8,4-15 (Lezionario di Bose)
In quel tempo 4poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: 5«Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. 6Un'altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. 7Un'altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. 8Un'altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
9I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. 10Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché
vedendo non vedano
e ascoltando non comprendano.
11Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. 12I semi caduti lungo la strada sono coloro che l'hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. 13Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. 14Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. 15Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.
Come infatti la pioggia e la neve
scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata.
Isaia 55,10-11
Gesù racconta questa parola alla folla che gli si raduna attorno. È un testo che ci chiede ogni volta di essere riletto con cura, per non correre il rischio che per la sua familiarità diventi scontato. In questo modo faremmo proprio l'opposto di quello che il Signore ci chiede in questa parabola ovvero non dare il giusto spazio alla sua parola.
Un buon modo per non incorrere in questo rischio è cambiare il punto di vista. Assumeremo quindi insieme il punto di vista del seme seguendo la suggestione dell'immagine che Gesù ci ha consegnato attraverso il racconto di Luca, tenendo presente la chiave di lettura che Gesù stesso consegna a noi lettori: il seme è la parola.
Ogni seme ha un periodo preciso in cui va seminato, altrimenti il raccolto non arriva. La parola ci è consegnata in un momento preciso. Le chiese seguono un lezionario ovvero utilizzando dei criteri consegnano ogni giorno al credente un passo delle Scritture da meditare.
Questo vuol dire che ogni giorno ci viene consegnato un seme/parola che sta a noi coltivare. Alcune volte la parola che ci viene consegnata non sembra essere quella giusta per noi, la tentazione è quella di ricercare nelle Scritture la risposta al nostro bisogno puntuale.
Ma l’immagine del seme ci ricorda che ci vogliono radici e la risposta al bisogno del momento può risultare appagante nel breve periodo, ma per vedere il frutto bisogna saper aspettare. Il seme ha bisogno di mettere radici in noi, di fare corpo con noi, e per compiere questo effetto ha bisogno di tempo e cura.
Il seme che è la parola anche se ci sembra difficile, troverà una strada dentro di noi, anche se al momento non lo comprendiamo, dobbiamo concedergli spazio e tempo. Ci sono stagioni della parola e stagioni della nostra vita che si devono incontrare. Anche se ci sembra difficile comprendere quella parola in quel giorno, il seme è stato gettato e se saremo accoglienti e pazienti germinerà dentro di noi.
Scrive il profeta Isaia: “Certo, l'anèto non si batte con il tribbio, né si fa girare sul cumìno il rullo, ma con il bastone si batte l'anèto e con la verga il cumìno” (Isaia 28,27). Questo vuol dire che ogni seme va trattato diversamente: se avremo la pazienza di attendere sarà la parola stessa ad insegnarcelo.
Gli aspetti che la metafora del seme potrebbe fornirci sono numerosi: il seme richiede una distanza di semina altrimenti soffoca, il terreno va preparato (i quattro terreni che Gesù indica sono quattro piste di riflessione), il seme ha bisogno della giusta quantità di acqua, se si esagera comunque si perde il raccolto.
L’ultimo aspetto che vorrei sottolineare è che il seme che arriva alla raccolta ci consegna un ulteriore seme. Ad esempio il grano seminato diventato spiga ci consegna i semi per il prossimo raccolto, oppure i fiori che pensavamo di aver perso rispuntano dopo un anno in un posto vicino anche se noi non li abbiamo seminati.
La parola ci lascia in consegna un seme per il futuro se la mettiamo in pratica facendola fruttificare. Il seme che ci consegna è promessa di fecondità per la prossima stagione: anche se sarà una stagione secca e difficile, abbiamo la semente della parola che aspetta il nostro lavoro.
fratel Elia